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Farmaci e dintorni

14 Novembre 2014

Dermatite atopica, da probiotico cura promettente


Un probiotico estratto dal microbioma umano potrebbe essere impiegato come nuova terapia per i pazienti affetti da dermatite atopica e offrire una protezione contro i biofilm patogeni, senza la necessità di ricorrere a farmaci. Lo affermano due studi coordinati da Eva Berkes, ricercatrice della Quorum Innovations di Sarasota, in Florida, e presentati al convegno annuale dell'American college of allergy, asthma & immunology 2014. I biofilm formati da Staphylococcus aureus, sia Mrsa che Mssa, giocano un ruolo importante nei pazienti con dermatite atopica moderata e grave e le terapie in grado di attaccarli hanno un ottimo potenziale di ridurre il rischio di infezione e di migliorare altri aspetti connessi alla malattia, poiché la colonizzazione batterica contribuisce all'infiammazione e alla distruzione della barriera cutanea. In termini di capacità di ricostituire la barriera cutanea danneggiata, Eva Berkes ha spiegato che il probiotico ha funzionato molto bene, in modo equivalente al Desametasone, ma a differenza di quest'ultimo non è uno steroide. «Abbiamo sviluppato il probiotico senza l'utilizzo di prodotti chimici» ha dichiarato «ma solo con un processo fisico per potenziarne l'attività, così la sua efficacia è un po' migliorata rispetto alla forma pura». Nel primo studio è stato usato un detergente per rimuovere lo strato lipidico protettivo dalla pelle, in modo che i campioni simulassero la presenza di dermatite atopica; la successiva applicazione topica del probiotico ne ha mostrato l'efficacia nel riparare il danno e ha raddoppiato i livelli di filaggrina, proteina che he guida la corretta differenziazione dell'epidermide garantendo l'effetto barriera, rispetto ai campioni non trattati. Il secondo studio ha evidenziato la capacità dell'estratto di raddoppiare le proprietà antiadesive della pelle; un'efficacia pari a quella degli antibiotici nell'inibire i biofilm di Mrsa e anche una buona bioattività contro i Mssa. Si tratta ora di vedere se i risultati ottenuti in vitro potranno essere replicati con altrettanta efficacia in vivo.

Renato Torlaschi

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