Farmaci e dintorni
28 Ottobre 2015Secondo e terzo mese di gravidanza, terzo trimestre e poco prima del parto sono le finestre di tempo in cui alcuni farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri) possono comportare un aumento di rischio di complicanze o di problemi allo sviluppo del feto. Questi gli esiti della revisione scientifica della più recente letteratura in merito ad alcuni di questi farmaci condotta dall'Aifa nell'ambito del progetto scientifico sul corretto uso dei farmaci in gravidanza, con cui sono state aggiornate le schede dei principi attivi impiegati per il trattamento dei disturbi d'ansia e depressivi in gravidanza e allattamento. In particolare, sono state riviste le schede tecniche dei principi attivi Citalopram, Escitalopram, Fluoxetina, Paroxetina, Sertralina, Venlafaxina relativamente alle reazioni avverse associate all'utilizzo dei medicinali contenenti tali sostanze nei diversi trimestri di gestazione e in allattamento. Alcune segnalazioni sono ancora in fase di studio, sia per i possibili fattori confondenti sia per la numerosità del campione studiato, come per esempio la correlazione tra un rischio aumentato di preeclampsia e l'assunzione di Ssri nel secondo trimestre di gravidanza. Segnalazioni anche per «l'assunzione prolungata di antidepressivi Ssri nel terzo trimestre e in prossimità del parto» in quanto «può determinare rallentata crescita fetale e basso peso alla nascita, problemi di adattamento e sintomi di astinenza (tra cui tremori, irritabilità, disturbi del sonno, sindrome da distress respiratorio, ipoglicemia) di solito transitori». Infine, Aifa fa sapere che «non è ancora confermata la possibile associazione tra assunzione materna di farmaci Ssri nell'ultimo periodo di gravidanza e ipertensione polmonare neonatale persistente, ma gli studi sono concordi che comunque il rischio sarebbe minimo». Aifa ricorda anche che «gli studi sugli effetti dell'esposizione a Ssri in gravidanza sullo sviluppo psico-motorio e cognitivo nel bambino sono rassicuranti, ma basati su piccoli campioni, mentre non è ancora definito il rischio di anomalie comportamentali. Sono necessari ulteriori studi prospettici a lungo termine che tengano conto anche dei fattori confondenti».
Simona Zazzetta
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