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Nutrizione

28 Novembre 2013

Carboidrati: risposta post-prandiale dipende da indice e carico glicemici


La risposta glicemica post-prandiale (Ppg, post-prandial glycemia), cioè l’andamento dei livelli di glucosio e insulina nel sangue, è innescata dai carboidrati disponibili in un alimento o un pasto, dopo il consumo. La Ppg si differenzia da persona a persona, in funzione anche dello stile di vita: controllarla può avere benefici effetti sulla salute. I due indici che bene descrivono le proprietà fisiologiche degli alimenti ricchi in carboidrati sono l’indice glicemico (glycemic index, Gi) e il carico glicemico (glycemic load, Gl). L’indice glicemico è un valore, su una scala da 0 a 100, che classifica i carboidrati sulla base della loro tendenza ad innalzare la concentrazione di zuccheri nel sangue dopo il consumo: alimenti con un alto Gi (>70) provocano un rapido incremento della glicemia; alimenti a basso Gi (<55) determinano incrementi graduali. Il carico glicemico invece, mette in relazione la qualità dei carboidrati disponibili (Gi) con la quantità nella porzione media o nella ricetta. Dal 1999, il Who (World health organisation) e la Fao (Food and agriculture organisation) raccomandano per i paesi industrializzati il consumo di alimenti a basso indice glicemico, per prevenire alcune fra le malattie più comuni. Ci sono oggi convincenti evidenze, che la riduzione della risposta glicemica abbia un effetto fisiologico benefico: perché limita il rischio di coronaropatie; migliora il controllo glicemico nel diabete di tipo 1 e 2 e riduce il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2 per le persone sovrappeso e con uno stile di vita sedentario; aiuta la gestione del peso e riduce la massa grassa. Il valore di questi indici è ben noto presso la comunità scientifica, concorde nel raccomandare il consumo di alimenti a basso Gi. In Italia non si sono ancora elaborati riferimenti specifici, a differenza di Australia e Nuova Zelanda, sebbene si faccia un accenno proprio nell’ultima revisione dei Larn, i livelli di assunzione raccomandata per la popolazione italiana (Sinu, 2012). Questo perché, per il consumatore, i concetti in gioco non sono di facile applicazione nell’ambito della dieta giornaliera. Il valore di Gi di un alimento può variare in funzione delle modalità di preparazione o anche della composizione del pasto. In linea generale, si può tenere sotto controllo la risposta glicemica scegliendo di consumare carboidrati a lenta digestione e lento assorbimento (basso Gi). Molti degli alimenti con basso Gi sono quelli della tradizione mediterranea: lenticchie, ceci, pasta, orzo e fagioli. La cottura è un parametro pratico che può avere grande influenza: cereali come pasta e riso cotti “al dente” presentano un minor Gi rispetto agli stessi, cotti più a lungo: cotture prolungate in acqua modificano l’amido al punto da renderlo più facilmente attaccabile dagli enzimi digestivi; questo viene assorbito velocemente, provocando un più alto picco glicemico post-prandiale. Per conoscere l’indice glicemico degli alimenti è necessario oggi ricercarlo in manuali e banche dati digitali (la più accreditata è quella redatta dall’università australiana di Sidney).  Eccone qualche esempio:

Alimento

GI*

Glucosio

100

Patate (quasi tutte)

77

Pane bianco

70

Saccarosio

65

Pizza

57

Pasta al dente

45

Mela

40

Legumi

35

Pomodori

9

*Riferito a soluzione glucosata = 100
Esempi di alimenti comuni ad alto/medio/basso GI (da Nfi)


Glycemic Index, Glycemic Load and Glycemic Response: An International Scientific Consensus Summit, 2013 
www.glycemicindex.com 

Francesca De Vecchi - specialista in scienze dell’alimentazione

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