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Nutrizione

30 Marzo 2017

Etichetta: attenzione ai solfiti


Fra gli allergeni di cui è obbligatorio segnalare la presenza in etichetta, secondo la normativa comunitaria, i solfiti sono gli unici per i quali è stato definito un limite. La dicitura infatti compare quando la presenza nel prodotto finale supera i 10mg/kg o 10 mg/l, espressi come anidride solforosa (SO2), ma le sostanze che concorrono ad elevare questo valore sono anche i suoi derivati inorganici che, in determinate condizioni, possono liberare S02: i solfiti, i bisolfiti e i metabisolfiti di sodio (E221, E222 e E223) e di potassio (E224) e solfito e bisolfito di Ca (E226 e E227).

Possono formarsi naturalmente in alcuni prodotti come conseguenza di fermentazione, per esempio nel vino, esercitando un'azione conservante naturale (ma lo sviluppo deve essere controllato). Nelle produzioni alimentari sono generalmente aggiunti come conservanti, poiché rallentano e proteggono i prodotti dal deterioramento messo in atto dai microrganismi presenti. I solfiti hanno anche un'azione sul colore: agiscono come sbiancanti e inibiscono le reazioni enzimatiche o non-enzimatiche, che portano a un imbrunimento del prodotto, in frutta o vegetali freschi tagliati, patate crude, gamberi, ma anche alimenti secchi o vegetali disidratati. Oltre a questi, alimenti che possono contenere solfiti sono la birra, i succhi, gelatine di frutta e la frutta lavorata (canditi, marmellate); birra, aceto, sidro, senape e altre salse da condimento, funghi secchi e prodotti a base di carne. Solfiti possono essere contenuti anche in alcuni medicinali (Efsa Journal, 2014; 12(11)3894).

La quantità di S02 finale nel prodotto può non essere uguale a quella aggiunta, perché reazioni di degradazione o di volatilizzazione ne diminuiscono la quantità residua. Anche la disponibilità di SO2 è influenzata dalla matrice. Spesso infatti può reagire con aldeidi, proteine o zuccheri formando composti dal legame non reversibile. Questo influenza il potere antimicrobico ma anche la risposta negli individui sensibili, che dipende proprio dalla quantità di anidride solforosa libera. La lattuga per esempio può indurre facilmente una reazione nelle persone sensibili perché la matrice non contiene composti cui l'anidride solforosa si lega, rimanendo invece nella sua forma inorganica libera. Al contrario, nei gamberi e nelle patate la SO2 tende a legarsi ai componenti della matrice, rendendo le reazioni di sensibilizzazione meno probabili.

In Italia gli alimenti che principalmente contribuiscono all'esposizione quotidiana sono il vino (per gli adulti) e in generale la frutta secca. La prevalenza della sensibilità a questi composti fra la popolazione generale non è nota. Nell'organismo i solfiti vengono degradati a solfati, non tossici, ma in alcuni casi possono legarsi a proteine e alterare il metabolismo. In media si stima un consumo giornaliero fra i 30 e i 50 mg di SO2 equivalenti, ma la risposta è diversa da individuo a individuo. La maggior parte delle persone sensibili reagirebbe a una presenza di metabisolfito compresa in questo range, motivo per cui l'indicazione in etichetta è obbligatoria quando i livelli totali nel prodotto superino i 10mg/kg o 10 mg/l.

Francesca De Vecchi
Esperta in scienze e tecnologie alimentari

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