Politica e Sanità
16 Novembre 2011I farmaci biotecnologici biosimilari si stanno diffondendo sempre di più in Europa e, a parità di efficacia, qualità e sicurezza, costano anche il 30% in meno rispetto agli originatori. In Italia, però, a tre anni dall’introduzione dei primi farmaci a brevetto scaduto, ancora permangono riserve al loro utilizzo: solo 1 paziente su 1.000 viene curato con epoetina biosimilare (4 su 10 in Germania), e solo 5 su 100 con filgrastim biosimilare: nel Regno Unito è biosimilare il 63% delle prescrizioni dispensate dal Sistema sanitario nazionale, in Germania la percentuale è del 41% e in Francia del 29%. «Se guardiamo i dati di utilizzo in Italia – spiega Sandro Barni, direttore Oncologia medica dell’Azienda ospedaliera Treviglio-Caravaggio – ci rendiamo conto che l’oncologo non ha ancora pienamente accolto l’introduzione dei farmaci biosimilari a oggi in commercio, ossia i fattori di crescita per i globuli bianchi e per i globuli rossi. A questo proposito, non si dimentichi che i biosimilari sono farmaci nuovi sui quali, nel nostro Paese, non esiste ancora un’esperienza clinica diffusa. Questo significa che, se un paziente già in trattamento ha risposto bene alla terapia con un originatore, il medico preferirà continuare a utilizzare quel farmaco, mentre potrà scegliere un biosimilare per i nuovi pazienti. Probabilmente, come successo in Paesi quali Regno Unito e Germania, nel futuro l’utilizzo di tali farmaci si diffonderà sempre di più».
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