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Politica e Sanità

30 Novembre 2011

Farmacovigilanza: nel 2010 Italia centra il gold standard


Arranchiamo su deficit e spread, ma almeno siamo perfettamente “europei” sulla farmacovigilanza. La certificazione arriva dalla Relazione annuale 2010 sulla vigilanza post-marketing che l’Aifa ha trasmesso nelle settimane scorse alle Camere: per la prima volta da quando è stato istituito il sistema di monitoraggio, l’Italia ha varcato la soglia fatidica delle 300 segnalazioni per milione di abitanti, il tasso individuato dall’Organizzazione mondiale della Sanità come il “gold standard” di un efficace rete nazionale di farmacovigilanza. L’anno scorso, infatti, le segnalazioni registrate di reazioni avverse sono state 20.191, pari a un tasso di 335 per milione; rispetto all’anno precedente (quando il tasso si era fermato a quota 243 per milione) la differenza è di oltre cinquemila segnalazioni. Ma quello che balza agli occhi è soprattutto l’accelerazione degli ultimi cinque anni: dopo la “crisi” del 2005 (quando le segnalazioni furono “soltanto” 5.709, in arretramento rispetto al 2004) il tasso medio nazionale è cresciuto senza altre soluzioni di continuità. Merito, secondo gli addetti ai lavori, anche dell’avvio di programmi di farmacovigilanza in diversi pronto soccorso ospedalieri, che hanno elevato sensibilmente le segnalazioni di reazioni avverse gravi e inaspettate. «La costante attività di monitoraggio» riassume l’Aifa nella Relazione «ha permesso di evidenziare alcuni segnali di allarme relativi a medicinali somministrati in età pediatrica o agli anziani. E’ stata inoltre effettuata l’attività di valutazione dei rinnovi dell’autorizzazione all’immissione in commercio di 2.515 medicinali registrati da più di cinque anni». Nelle linee di indirizzo approvate nell’ottobre 2010 dalla Conferenza Stato-Regioni, ricorda infine l’Agenzia, il programma nazionale di farmacovigilanza «è stato orientato allo studio delle reazioni avverse in particolare riguardanti la popolazione pediatrica, gli anziani con polipatologie e i pazienti istituzionalizzati».

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