Politica e Sanità
29 Febbraio 2012Dopo commercio, trasporti e comunicazioni e servizi alle imprese, è la filiera della salute la quarta forza dell''economia italiana, con l''11,2% dell''intero Pil nazionale, con un valore aggiunto diretto e indiretto di 152,6 miliardi e 1,5 milioni di occupati tra pubblico e privato. Il quadro emerge dal rapporto, anticipato dal settimanale Il Sole24Ore Sanità, «Struttura e performance della filiera della salute 2007-2020» del Comitato tecnico sanità di Confindustria, curato da Nicola Quirino docente della Luiss. L’industria del settore, ponendosi per altro prima di costruzioni, banche, energia, chiede un riconoscimento adeguato al suo ruolo determinante per la salute e per il contributo alla ricchezza nazionale. Il rapporto arriva proprio mentre Governo e Regioni stanno elaborando il «Patto per la salute» che indicherà la rotta futura, alla quale le imprese chiedono di poter contribuire. «Confermiamo il sostegno al Servizio sanitario nazionale come asset irrinunciabile» spiega Guido Riva presidente del comitato «ma continuare a sostenere caparbiamente che il governo del Ssn corrisponda a governare l''intera sanità del Paese, è una grave miopia». Nel rapporto, fa sapere Il Sole24Ore, sono indicati punti di forza e di debolezza dell''economia della filiera della salute, con il Nord che detiene la leadership sia per il valore aggiunto diretto (47,5 miliardi su 90,1 totali, pari al 52,7%) che per l''occupazione (826mila addetti, il 53% del totale nazionale). Anche per quanto riguarda il valore aggiunto per occupato, nel 2010 è stato, in media per l''intera filiera di quasi 60mila euro, un dato salito a 76mila nell''industria con una punta di 104mila nella farmaceutica, contro i 58mila euro nei servizi al Ssn. Numeri interessanti che indicano vivacità dell’economia del settore sanitario, ma condizionati, in Italia, dal ritardo, in media di oltre un anno, dei pagamenti per oltre 20miliardi di euro, dalla politica dei «tetti» di spesa che raffredda impieghi e occupazione e dal continuo cambio di regole che impedisce la programmazione e scoraggia gli investitori.
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