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Politica e Sanità

27 Marzo 2012

Dal Tar Lombardia quesito all’Ue su esclusiva per la fascia C


La Corte di giustizia europea dovrà tornare a occuparsi di farmacie italiane e di concorrenza. A chiamarla in causa il Tar della Lombardia, che con una decisione pubblicata giovedì scorso si è rivolto ai giudici del Lussemburgo per una questione pregiudiziale sulla compatibilità tra il diritto comunitario e le norme che in Italia escludono le parafarmacie dalla vendita dei farmaci di fascia C con ricetta. L’iniziativa del Tribunale lombardo fa riferimento al ricorso presentato a novembre dalla titolare di una parafarmacia di Varese: la farmacista aveva impugnato davanti ai giudici amministrativi i due provvedimenti con cui ad agosto ministero della Salute e Asl cittadina avevano respinto la sua richiesta di poter dispensare al pubblico i farmaci di fascia C con obbligo di ricetta.
I motivi per cui il Tar ha deciso di rivolgersi alla Corte Ue risiedono nella natura commerciale dell’attività professionale: nonostante le direttive europee lascino agli Stati l’organizzazione dei servizi farmaceutici nazionali, «le attività che possono essere svolte da un farmacista sono pur sempre da intendersi come esercizio di attività economiche prestate dietro retribuzione» e come tali sottoposte alle disposizioni dei Trattati comunitari». Inoltre, tutte le norme nazionali che «assoggettano discrezionalmente l’attività economica del farmacista» limitandone la libertà d’impresa «devono pur sempre scontare una verifica di compatibilità alla luce ed in ragione dei principi europei di libera circolazione e di stabilimento». In particolare, proseguono i giudici amministrativi, «occorre verificare se il sistema che riserva ai titolari di farmacia in pianta organica la distribuzione dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione medica sia proporzionato e idoneo a raggiungere l’obiettivo» (ossia «un approvvigionamento di medicinali sicuro e di qualità») o se invece  non esistano «misure meno restrittive» che assicurino lo stesso obiettivo senza privare «taluni farmacisti di qualunque accesso all’attività professionale» mentre altri, già presenti sul mercato, «godono di profitti sproporzionati».
Posta la questione in tali termini, per il Tar le norme che escludono le parafarmacie dalla vendita dei farmaci di fascia C «eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito, in quanto il regime di contingentamento vigente in Italia non sembra giustificato né da ragioni di controllo della salute pubblica, né di ordine economico, né per evitare gli eccessi socialmente indesiderati della concorrenza». La parafarmacia, infatti, «garantisce la tracciabilità del farmaco», si avvale «dei medesimi canali di rifornimento delle farmacie», utilizza «gli stessi sistemi informatici» ed è quindi costantemente aggiornata su ritiri e altre problematiche, si avvale di «farmacisti abilitati tenuti all''aggiornamento costante tramite Ecm», è dotata «di apparati e attrezzature idonee a garantire una buona conservazione e una buona distribuzione dei farmaci». Il contingentamento del numero di esercizi farmaceutici sul territorio nazionale abilitati alla vendita dei farmaci di fascia C, è quindi la conclusione del Tar, si traduce «nella sproporzionata protezione di reddito degli esercizi esistenti piuttosto che nel conseguimento di una razionale e soddisfacente distribuzione territoriale degli esercizi di vendita». Si impedisce, cioè, «che attraverso l’erosione delle posizioni di rendita create da una regolamentazione restrittiva, si accresca il grado di concorrenza, restituendo al mercato la sua capacità allocativa e, tramite produzioni più efficienti, si offrano ai cittadini benefici sotto forma di minori prezzi». Di qui la decisione dei giudici lombardi di chiamare in causa la Corte del Lussemburgo per una questione pregiudiziale (cioè una interpretazione delle norme comunitarie ai fini di una sentenza nazionale).

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