Politica e Sanità
17 Maggio 2012«I tempi sono cambiati, i titolari non possono più confondere quello che entra nel registratore di cassa con l’utile e gravare di debiti le loro imprese». Non usa giri di parole Claudio Ciampi, amministratore delegato di Credifarma, per dipingere la congiuntura economica che le farmacie devono affrontare. E’ quella che alcuni esperti hanno definito la «tempesta perfetta»: recessione da una parte, stretta del credito dall’altra. Quest’ultima soprattutto: bruciate dalle perdite dei titoli strutturati, le banche hanno tirato i cordoni della borsa e oggi vendono denaro solo con estrema cautela (anche per necessità di ricapitalizzazione interna). Per le farmacie, più vulnerabili di altre imprese sotto il profilo del debito, diventa urgentissimo un cambio di passo.
A Cosmofarma lei ha detto che i farmacisti devono cominciare a investire nella loro farmacia. Che cosa intendeva dire?
Fino a poco tempo fa era convinzione diffusa che le farmacie non potessero fallire e quindi il titolare avrebbe potuto indebitarsi finché voleva: i fornitori non lo avrebbero abbandonato e il magazzino sarebbe sempre stato pieno. E poi c’era sempre l’avviamento. Oggi non è più così: a parte le liberalizzazioni, l’utile Ssn è in arretramento da anni e non si prevedono inversioni di tendenza per il prossimo futuro. Il titolare, di conseguenza, non può più scambiare il cassetto con l’utile e spendere subito quello che entra. Anzi, è arrivato il momento di invertire il percorso dei capitali: se prima i soldi uscivano dalle farmacie per finire in immobili o altri beni, oggi è consigliabile che il farmacista – laddove necessario – venda qualche proprietà per far entrare liquidi nella sua impresa, cioè ricapitalizzarla.
Sono diversi gli esperti che lo predicano, in questo momento…
Non c’è dubbio. Il fatto è che la stretta sul mercato del credito che si sta registrando in questo momento rende forte il rischio che molte farmacie possano trovarsi presto a corto di capitale operativo, ossia dei liquidi necessari all’attività quotidiana. Occorre rifinanziare, una farmacia che non paga i fornitori da più di 300 giorni è già di fatto un’impresa che appartiene ad altri.
È una situazione molto diffusa?
Diciamo che è diffusa l’abitudine a sottovalutare i bilanci. Molti di quelli che vedo non convincerebbero una banca a dare un prestito di un solo centesimo. Le responsabilità sono anche di quei commercialisti che per anni hanno tranquillizzato i titolari con false rassicurazioni. E hanno assecondato la loro propensione a indebitare l’impresa nella convinzione che tanto le entrate avrebbero ripianato tutto. Oggi è utile che i titolari vadano dal loro commercialista, lo guardino negli occhi e decidano se non sia il caso di cambiare consulente.
Veniamo a Credifarma: i vertici sono in via di rinnovo, a fine mese ci saranno le elezioni di presidenza e consiglio. Quanto sta soffrendo l’istituto per questa congiuntura?
Siamo una finanziaria iscritta nell’elenco 107, quindi vigilata dalla Banca d’Italia. L’ultima ispezione si è svolta recentemente e ha avuto esito positivo. Abbiamo un patrimonio di 34 milioni di euro e siamo l’unico istituto del suo genere che non ha avuto bisogno di aumenti di capitale. Abbiamo linee di credito robustissime con le due banche che dividono la proprietà con Federfarma (Unicredit e Bnp, ndr) e grazie alle ultime cartolarizzazioni non abbiamo problemi di tesoreria. Può bastare?
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