Politica e Sanità
16 Luglio 2012Non c’è alcun legame tra il commercio parallelo dei farmaci e le rotture di stock che, in Italia così come in altri paesi, tormentano la distribuzione. Così almeno assicura Heinz Kobelt, direttore Affari europei della Eaepc (European association of europharmaceutical companies, la sigla europea degli importatori paralleli). Le parole di Kobelt sono una sorta di “post-it” all’articolo che Farmacista33 ha dedicato qualche settimana fa al caso toscano dell’antiepilettico passato in distribuzione diretta per “sottrarlo” alle carenze registrate negli ultimi mesi. Il tutto grazie a un accordo tra Regione, Federfarma Toscana e Pfizer che ha fatto parecchio discutere.
Direttore, in Italia è opinione diffusa che le carenze di farmaci siano causate dalle esportazioni parallele. Lei invece dice che così non è…
L’origine delle rotture di stock può essere ricondotta generalmente a due fattispecie, entrambe legate all’attività dei produttori: l’impossibilità di rifornire il mercato per cause imprevedibili, come la scarsità di materie prime, la carenza di imballaggi, l’aumento non programmato della domanda e così via; l’indisponibilità del produttore a rifornire il mercato. Quest’ultimo caso è solitamente dovuto alla decisione del produttore di immettere nella filiera quantitativi prestabiliti, che vengono ripartiti tra i distributori intermedi in base a uno storico degli acquisti. Tali quantitativi servono a esercitare un controllo sul flusso delle disponibilità e raramente prevedono meccanismi di flessibilità con cui ovviare alle carenze che talvolta si verificano per fluttuazione della domanda.
Ma alcuni produttori sostengono che il contingentamento serve proprio a scoraggiare le esportazioni, anche se nessuno lo ammetterebbe mai ufficialmente perché in Europa il commercio parallelo è legale…
Di più. Il prodotto di importazione parallela è legale perché sicuro. Il commercio parallelo è dettagliatamente regolato in Europa e i distributori paralleli sono soggetti alla stessa normativa alla quale sono soggetti i produttori e soggetti a frequenti controlli da parte delle autorità competenti nazionali e europee. Nel caso in cui i sistemi di contingentamento operati dai produttori servissero proprio a scoraggiare le esportazioni sarebbero illegali. Senza comunque dibattere le cause di tali sistemi, questi hanno come effetto immediato la riduzione dei volumi di merce circolante nel flusso distributivo. Non mi sembra si siano verificati casi di carenza farmaci prima dell’introduzione di questi sistemi di contingentamento da parte dei produttori. A conferma dell’assenza di legami tra i due fenomeni, ricordo che il “parallel trade” interessa prettamente i farmaci brevettati, mentre le rotture di stock colpiscono sia i “branded” sia i generici. E situazioni di carenza si registrano anche in paesi in cui non c’è traccia di distribuzione parallela, come gli Stati Uniti o la Svizzera, dove il problema è diventato consistente negli ultimi dieci anni.
Tra i distributori intermedi, c’è chi dice che il fenomeno delle carenze serve all’industria per spingere sul direct-to pharmacy, cioè la fornitura diretta alle farmacie scavalcando il canale dell’ingrosso…
Il direct-to-pharmacy, o Dtp, fornisce ai produttori un ulteriore strumento per controllare la catena distributiva. Praticamente quello che sta accadendo in Toscana: i farmacisti devono fare riferimento a un solo fornitore e in caso di indisponibilità non possono più soddisfare le richieste urgenti rivolgendosi ad altri operatori. Come riconosciuto dall’Office of faire trade britannico (l’antitrust inglese, ndr), il Dtp riduce la concorrenza tra grossisti, diminuisce la qualità dei servizi offerti dai fornitori e finisce per aumentare i prezzi dei farmaci. Il Dtp fa solo gli interessi dei produttori monopolistici, che cercano l’integrazione verticale per esercitare un maggior controllo sul mercato e sui pazienti. Mi chiedo se questo sia veramente ciò che desidera la Regione Toscana».
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