Politica e Sanità
12 Giugno 2013Numero programmato e nuova mentalità. Sono queste le priorità per la facoltà di farmacia nelle parole del presidente della Federazione degli Ordini Andrea Mandelli, che garantisce impegno concreto e collaborazione per appoggiare la riforma preannunciata a Farmacista33 da Ettore Novellino, presidente della Conferenza dei presidi delle scuole di farmacia. L’auspicio di Novellino è che dal 1 novembre 2014 si possa arrivare a «numero chiuso, adeguamento del piano di studi ai nuovi profili professionali e ridefinizione di modalità e contenuti dell’esame di stato». Il presidente della Fofi, pur con la dovuta cautela, è pronto a offrire il suo appoggio per raggiungere l’obiettivo
I laureati in farmacia sono troppi rispetto all’effettiva necessità. È il numero chiuso la soluzione?
Numero chiuso è una definizione che non mi piace, ma è evidente che occorre la generalizzazione del numero programmato, provvedimento per il quale ho presentato un ddl. E deve anche cambiare la mentalità: le facoltà o le scuole di farmacia devono uscire dalla politica del particolare e affrontare la questione delle immatricolazioni adottando una visione concreta e generale. Quanti laureati in farmacia richiedono gli sbocchi tradizionali? Quali nuovi settori si stanno aprendo per il farmacista? Se non si cerca di rispondere a queste domande per poi procedere a una programmazione si rischia ogni anno di diplomare dei futuri disoccupati. Anche perché oggi la farmacia di comunità, che resta il principale sbocco occupazionale, oltre a essere in difficoltà economiche presenta un’età media dei professionisti impiegati relativamente bassa.
Secondo Novellino per il 2014 oltre al numero chiuso le priorità sono anche adeguamento del piano di studi e ridefinizione dell’esame di stato. Che cosa ne pensa?
È così, sono anni che nelle nostre linee ufficiali si ribadisce questa necessità e siamo felici che ora anche l’Università condivida questa posizione. Le conclusioni della ricerca condotta dal nostro osservatorio nel 2010 mostravano chiaramente che le competenze richieste oggi al farmacista, anche negli ambiti tradizionali, non trovano spazio, o non trovano uno spazio adeguato, nell’attuale formazione universitaria. Anche limitandosi al caso dei giovani che andranno a operare in seno al servizio sanitario, in ospedale e nella farmacista di comunità, occorre un cambio di prospettiva radicale. Si deve passare dalla formazione intesa come acquisizione di un sapere alla formazione come acquisizione di un sapere e di un saper fare. Infatti, entrare con un ruolo più forte nel processo di cura significa rendere una prestazione al paziente e questo ha riflessi la cui importanza è evidente soprattutto sulla formazione del professionista, quella curriculare e quella post-laurea. Va da sé che se si cambia così profondamente il corso di studi, come indica anche il progetto europeo Pharmine, l’esame di Stato non può che mutare di conseguenza.
La Fofi ha nominato le tre persone del tavolo per affrontare la questione. La strada è in discesa?
Parlare di strada in discesa, considerata la vita difficile delle riforme in Italia, è un eccesso di ottimismo. Quello che posso dire senz’altro è che la Federazione si vuole impegnare concretamente in questo processo e offre tutta la sua collaborazione. Come primo passo, come indicato dal Consiglio Nazionale, i nostri delegati a questo tavolo incontreranno tutte le componenti della professione, per avere direttamente da loro il polso della situazione, stimare le necessità concrete e , così, orientare i lavori del tavolo.
Marco Malagutti
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