Neurologia
20 Settembre 2024Declino cognitivo e demenza, un fenomeno che in Italia coinvolge due milioni di persone, con costi socioeconomici notevoli. Un incontro a Milano
Sono 2 milioni le persone che, in Italia, soffrono di declino cognitivo: 1,2 milioni sono le demenze vere e proprie, la metà delle quali classificabili come malattia di Alzheimer, mentre per le restanti 800.000 si parla di declino cognitivo lieve, destinato nella metà dei casi a sfociare nella demenza. Allargando lo sguardo, l’Oms afferma che nel mondo sono 55 milioni le persone con demenza, un trend che porterebbe a toccare i 78 milioni di casi nel 2030. Forte l’impatto socio-economico della patologia, che in Italia tocca i 23 miliardi di euro, per due terzi circa a carico del paziente.
Questi i numeri alla base dell’incontro, tenutosi a Milano, su “Declino cognitivo e demenza: quanto ne sappiamo, cosa stiamo facendo e quale impatto sulla società e sul Servizio sanitario nazionale”, promosso da Neopharmed Gentili alla vigilia delle Giornata mondiale dell’Alzheimer, che si celebra il 21 settembre.
Fattori predisponenti
Fa notare Camillo Marra (presidente della Società italiana di neurologia per le demenze, Sindem) che quando si parla di demenze non è da trascurare la componente della familiarità, mentre altri fattori predisponenti sono perdita dell’udito, ipertensione, obesità, fumo, poca attività fisica, diabete. Senza dimenticare aspetti di carattere eminentemente sociali come l’abbandono scolastico e il condurre una vita isolata.
«L’isolamento sociale», aggiunge Claudio Mencacci, copresidente della Società italiana di neuro-psico-farmacologia, Sinpf, «è una questione istituzionale, in quanto sono 8,5 milioni le persone che in Italia vivono da sole, e di esse 2 milioni sono gli over 65. Un caso su cinque di depressione deriva dalla solitudine, che a volte ha come primo sintomo l’apatia, la mancanza di interessi, di passioni».
«Occorre però distinguere», sottolinea Piero Secreto, geriatra e componente del Comitato tecnico-scientifico per le Linea Guida “Diagnosi e trattamento di demenza e Mild cognitive impairment”. «Il declino cognitivo è una zona grigia, non è ancora malattia, nel senso che il soggetto è ancora autonomo, anche a livello professionale. La demenza è invece malattia conclamata. Le Linee guida riempiono un vuoto culturale rispetto alla possibilità di attuare una serie di interventi che riguardano la diagnosi, il trattamento, l’assistenza e il supporto ai pazienti».
Costi sociali e terapie
Paolo Sciattella, economista del Ceis-Tor Vergata, ricorda che «sui 23 miliardi di spesa complessiva annuale per le demenze solo 3 miliardi, il 16%, sono a carico del Ssn. La spesa out of pocket, a carico del cittadino, ammonta a 14 miliardi, sfiorando il 63%. La spesa annua per paziente si aggira sui 20.000 euro».
Sul piano terapeutico va combattuto, secondo Marra, il luogo comune secondo cui le demenze sono incurabili: «Non è così, abbiamo a diposizione validi farmaci sintomatici, il cui effetto è maggiore se la diagnosi è precoce. Fermo restando che si tratta di malattie cronico-degenerative, per le quali non si può mai parlare di guarigione». In questo senso il ruolo del Medico di medicina generale - sottolinea Alessandro Pirani, rappresentante Simg al Tavolo permanente demenze del ministero della Salute - è fondamentale nell’individuare sintomi “sospetti” nel paziente, per esempio latenti forme di depressione.
Al momento i farmaci più comunemente utilizzati nel trattamento della demenza agiscono sul sistema colinergico, parte del sistema nervoso, la cui azione è mediata dall’acetilcolina, uno dei neurotrasmettitori più importanti, che ha un ruolo chiave nel mantenimento elle funzioni cognitive.
Un tema presente nell’opinione pubblica
L’indagine condotta da Emg Different sul tema discusso a Milano ha riguardato mille persone tra 25 e i 74 anni. Oltre il 90% del campione ha sentito parlare di declino cognitivo e di demenza, quasi il 60% che quest’ultima è una condizione più grave rispetto alla prima. La quasi totalità degli italiani riconosce nel fenomeno un grave problema sociale, ravvisando nel contempo la necessità di una maggiore informazione.
Forte anche la preoccupazione - sette italiani su dieci - per la carenza di servizi territoriali in grado di fornire la necessaria assistenza a pazienti e caregiver.
Donatella Oliosi, presidente dell’associazione Diana (Difesa diritti anziani non autosufficienti), conferma da parte sua l’insufficienza dei centri diurni sul territorio. I servizi dei quali, in teoria, dovrebbero essere gratuiti mentre risultano onerosi anche in presenza di convenzioni con il Ssn. «Il 64% dei casi di demenza, in Italia, non è in carico a strutture sociosanitarie, mentre nel 12% dei casi i pazienti sono istituzionalizzati. Gli oneri che gravano su pazienti, caregiver e familiari sono ingentissimi, laddove l’assistenza, garantita dai Lea, dovrebbe essere a carico della sanità pubblica».
Comune la constatazione che occorrerebbero ben altre risorse per affrontare un fenomeno destinato a essere più invasivo, al livello sociale, con il progressivo aumento della popolazione anziana. Risorse che difficilmente arriveranno in tempi brevi, se si guarda alla difficoltà di inserire nella legge di Bilancio, di anno in anno, cospicui fondi per la sanità. «Esiste un Piano nazionale demenze», conclude Marra, «ma latitano i finanziamenti».
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