Cardiologia
27 Dicembre 2025Segnali precoci di sofferenza cardiaca, anche in assenza di sintomi evidenti, possono anticipare di oltre vent’anni un rischio maggiore di sviluppare demenza

Un nuovo studio pubblicato sull’European Heart Journal evidenzia che alterazioni subcliniche della funzione cardiaca, rilevabili tramite un semplice esame del sangue, sono associate a un rischio significativamente maggiore di declino cognitivo in età avanzata. La ricerca, condotta su 5.812 partecipanti dello studio Whitehall II, ha monitorato soggetti, tra i 45 e i 69 anni, cognitivamente sani e senza diagnosi di malattie cardiovascolari all’inizio del percorso di osservazione. I partecipanti sono stati seguiti per 25 anni attraverso valutazioni cognitive periodiche e analisi del sangue mirate a misurare la troponina cardiaca I, un biomarcatore che aumenta quando il muscolo cardiaco subisce un danno, anche lieve e silenzioso.
I risultati mostrano che livelli di troponina anche solo lievemente superiori alla norma, pur restando al di sotto delle soglie associate a un evento cardiaco acuto, sono correlati a un aumento significativo del rischio di sviluppare demenza nel lungo periodo. Questo incremento, stimato intorno al 38% rispetto a chi presenta livelli più bassi, risultava individuabile fino a 25 anni prima della diagnosi clinica. Inoltre, è emerso che i partecipanti con concentrazioni più elevate mostravano performance nei test di memoria, attenzione e funzioni esecutive paragonabili a quelle di persone mediamente più anziane di 1,5–2 anni. A conferma di questo quadro, le risonanze magnetiche cerebrali hanno rivelato una riduzione del volume dell’ippocampo e della materia grigia, due marcatori consolidati di neurodegenerazione.
Secondo i ricercatori, l’età compresa tra i 40 e i 70 anni rappresenta una fase cruciale. Danni cardiaci minimi, se silenziosi ma persistenti, possono innescare effetti cumulativi che si manifestano molti anni più tardi sotto forma di deterioramento cognitivo. Per questo agire precocemente sui principali fattori modificabili, tra cui pressione arteriosa, equilibrio metabolico, colesterolo, fumo e inattività fisica, potrebbe avere un impatto rilevante non solo sul rischio cardiovascolare, ma anche sulla salute cognitiva.
Gli autori ipotizzano che, in futuro, la troponina possa diventare parte di algoritmi o protocolli di screening capaci di individuare con grande anticipo le persone più vulnerabili al declino cognitivo, favorendo strategie preventive personalizzate. Rimangono, tuttavia, necessari ulteriori studi per definire limiti di riferimento, applicazioni cliniche e percorsi di intervento mirati.
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