Farmaci antivirali e antifungini:resistenze in aumento. In studio nuove strategie antimicrobiche e long acting
Dopo Covid-19 si è verificato un aumento delle infezioni fungine, anche causato dall'impiego eccessivo di antifungini. In studio nuove strategie antimicrobiche e long acting
«Dopo Covid-19 si è verificato un aumento delle infezioni fungine, anche causato dall'impiego eccessivo di azoli (una delle classi di antifungini più utilizzati a livello ospedaliero), dall'aumento della temperatura e dal loro uso incondizionato in agricoltura» lo ha affermato Eleonora Cerutti, SC Farmacia, AO Ordine Mauriziano di Torino nel corso del III Convegno della rete nazionale infettivologica Sifact, dal titolo "Il farmacista clinico come driver di programmi di stewardship efficaci" che si è tenuto a Torino il 26 maggio, incentrato sulle resistenze a farmaci antivirali e antifungini, per i quali diventa necessario riproporre modelli di stewardship antimicrobica.
Più appropriatezza prescrittiva e programmi di stewardship antifungina
«Ma delle resistenze agli antifungini si parla ancora poco, anche perché in molte strutture manca l'adeguato sostegno del dato laboratoristico. E proprio perché ancora oggetto di scarsa attenzione, occorre aumentare la vigilanza. L'Oms ha diffuso una lista dei 19 patogeni maggiormente a rischio di sviluppo di infezioni resistenti; a oggi il più pericoloso è candida auris, già molto diffuso a livello europeo e mondiale, e caratterizzato dallo sviluppo di resistenze agli antifungini associate a mortalità. Oltre alla sorveglianza, è necessario oggi migliorare l'appropriatezza prescrittiva, e mettere in atto programmi di stewardship antifungina». Il controllo delle resistenze nell'ambito delle terapie antifungine e antiretrovirali è particolarmente rilevante nella gestione del paziente immunocompromesso. L'intervento di Marco Falaguasta, Presidente Anlaids, Padova Hyperlink, ha ripercorso la storia dell'Aids, dalla scoperta del virus Hiv nel 1980 ai recenti sviluppi delle terapie, sottolineando come la patologia si sia caratterizzata, fin dall'inizio, per una attiva partecipazione dei pazienti e per l'importanza delle associazioni, nate per diffondere una corretta informazione e combattere lo stigma. «Oggi, con terapie che dopo il 1996, anno dell'introduzione degli inibitori della proteasi, hanno visto una accelerazione e rivoluzionato il decorso della malattia, la nuova sfida riguarda l'invecchiamento delle persone che vivono con Hiv (Plwh), e il mantenimento di un buono stato di salute fisica e mentale. Maggior rischio di eventi cardiovascolari, patologie renali e ossee sono tra le condizioni che interessano le Plwh, sia per effetto delle terapie che per lo stato infiammatorio, permanente, correlato all'Hiv. Sul fronte del benessere, è importante l'empowerment delle persone che vivono con Hiv, così che possano avere un ruolo attivo nella gestione della patologia, attraverso la collaborazione con le associazioni di pazienti».
Farmaci Long acting sono la nuova frontiera farmacologica
Sul tema dell'ottimizzazione terapeutica interviene Lolita Sasset, SC Malattie infettive AO di Padova: «se la priorità dei trattamenti resta il mantenimento dello stato di soppressione virologica e un positivo rapporto rischi benefici, fenomeni come invecchiamento della popolazione, e conseguente aumento delle comorbidità e politerapia, con possibili interazioni ed effetti collaterali, spingono verso la semplificazione delle terapie e la riduzione dei farmaci». La nuova frontiera riguarda i farmaci Long acting, oggi al primo posto nelle pipeline riferite alle terapie antiretrovirali in sviluppo. Sono allo studio anche formulazioni in cerotto e con somministrazione, per via sottocutanea, ogni sei mesi. «Le terapie long acting, recentemente introdotte anche dalle linee guida, si basano su farmaci con somministrazione per via iniettiva ogni due mesi, e che presentano minor rischio di interazioni farmacologiche, in quanto non vengono metabolizzati a livello epatico. Poiché presentano ridotta tossicità, migliore aderenza, riduzione dello stigma e miglioramento della qualità della vita, sembrano essere le alternative ideali per l'ottimizzazione terapeutica. Tra i clinici permangono, tuttavia, dubbi rispetto ad alcuni aspetti, legati alla mancanza della piena esperienza clinica, e di dati per il loro impiego in gravidanza, nei pazienti sarcopenici, negli over 65, e sulla gestione di eventuali tossicità durante il trattamento, sapendo inoltre che nell'eventualità di un fallimento della terapia la ripresa virologica porta allo sviluppo di resistenze. In ogni caso i candidati al passaggio dalle terapie orali alle terapie long acting devono essere accuratamente selezionati, e fortemente motivati. Sappiamo che poco meno della metà dei nostri pazienti virologicamente soppressi è potenzialmente eleggibile allo switch: in genere si tratta di pazienti giovani, con una breve storia di infezione, privi di comorbidità e interessati a non manifestare la propria condizione».
Attività di counseling per migliorare la qualità di vita del paziente
Un aspetto, solo apparentemente marginale rispetto alla gestione delle terapie, riguarda il counseling. «l'attività di counseling ha l'obiettivo di migliorare la qualità di vita del paziente, sostenendo i suoi punti di forza e la sua capacità di autodeterminazione. Ascolto attivo e una comunicazione efficace sono competenze che il professionista che padroneggia le tecniche di counseling possiede, e che contribuiscono a migliorare l'assistenza» afferma Giacoma Cinnirella, SC Farmacia Amedeo di Savoia, Torino. «Nel caso di paziente con Hiv il counseling è un intervento specialistico basato su una relazione di aiuto e assistenza, flessibile ma strutturata, tra medico e paziente attraverso il quale il medico, grazie anche alle competenze comunicative apprese, risulta essere di maggiore aiuto per il paziente». «In generale, mi preme sottolineare l'importanza del lavoro multidisciplinare; il lavoro in collaborazione permette di affrontare un problema da ogni angolazione e punto di vista, a beneficio dei pazienti e della crescita professionale e culturale degli operatori. Per questo, auspico lo sviluppo e attuazione di progetti multidisciplinari finalizzati alla cura dei pazienti, nel senso più ampio del termine».
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