Neurologia
01 Ottobre 2025Un nuovo studio, pubblicato su Nature Medicine, mostra che un semplice prelievo di sangue può rivelare alterazioni proteiche tipiche della SLA, consentendo una diagnosi anni prima della comparsa dei sintomi clinici
Secondo le stime epidemiologiche, entro il 2040 il numero di persone affette da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) nel mondo potrebbe raggiungere le 400.000 unità. Una malattia rara ma devastante, che porta alla degenerazione dei motoneuroni e, in pochi anni a una progressiva perdita di forza muscolare fino all’insufficienza respiratoria. La difficoltà di diagnosi precoce e l’assenza di biomarcatori affidabili hanno a lungo ostacolato lo sviluppo di terapie mirate. Per colmare questa lacuna, un team internazionale guidato dalla Johns Hopkins University School of Medicine, dal National Institutes of Health, dall’Università di Torino e dalla UK Biobank ha avviato una ricerca su larga scala.
Analizzando quasi 3.000 proteine plasmatiche in campioni di sangue di oltre 600 individui, i ricercatori hanno utilizzato algoritmi di apprendimento automatico per costruire un modello capace di distinguere i pazienti affetti da SLA da soggetti sani e da persone con altre malattie neurologiche. Ciò ha portato alla scoperta di una firma proteica composta da 17 proteine chiave, capace di riconoscere la SLA con un’accuratezza superiore al 98%
La ricerca ha incluso non solo pazienti già diagnosticati, ma anche donatori presintomatici, i cui campioni erano stati raccolti anni prima della comparsa della malattia. In tali soggetti sono emerse alterazioni proteiche precoci, mai osservate prima, legate a disfunzioni nel muscolo scheletrico, nella trasmissione nervosa e nel metabolismo energetico, suggerendo che la SLA abbia inizio molto prima della sua manifestazione clinica. La robustezza del modello è stata confermata anche in più coorti indipendenti, tra cui la UK Biobank con oltre 23.000 partecipanti. Un’analisi statistica ha poi dimostrato che il punteggio di rischio calcolato dal modello non solo distingue i malati dai controlli, ma è anche in grado di predire l’età di insorgenza della malattia.
Gli autori sottolineano che una diagnosi anticipata permetterebbe di arruolare pazienti in fase presintomatica in studi clinici e di testare farmaci con la possibilità concreta di modificare la progressione della malattia. I dati mostrano, inoltre, che la firma proteica non dipende da mutazioni genetiche ereditarie come l’espansione C9orf72, rendendola applicabile a una popolazione molto ampia di pazienti, anche senza storia familiare di SLA.
Gli autori sottolineano che questa scoperta non è solo un passo avanti nella diagnosi, ma anche un nuovo strumento per monitorare l’evoluzione della malattia, valutare l’efficacia delle terapie e aprire la strada a biomarcatori comuni per altre patologie neurodegenerative. Il team ha reso pubblici dati e codici, invitando la comunità scientifica a collaborare per accelerare i progressi nello sviluppo di biomarcatori per la SLA.
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